sapete che a forza di scrivere post e di sentire la mamma dire al panettiere “mio figlio è così bravo, scrive anche i poster” uno arriva anche a credersi scrittore? e allora ho deciso di usare questa pagina (statica, come quella di “c’erano una volta i koala“) per mostrarvi qualcuna delle mie produzioni brevi…in attesa di essere scoperto da un editore che staccherà un assegno da un milione di bolivar…
i racconti fino ad oggi:
- la rivolta dei colori
- le 4 nabucodonosor (III classificato a LABirinti di Parole, III ediz. 2018)
- la treccia
- il duo
- il sognatore
- jingo, lo spazzino empatico (menzione speciale a 88.88, V ediz. 2018-2019)
la rivolta dei colori
aggirandomi per gli impervi villaggi del fiume pai in Thailandia, mi sono imbattuto in un’antica leggenda, vecchia di generazioni che, sempre uguale, è raccontata ai bambini nelle serate invernali, per ricordargli che il freddo durerà molto poco e lascerà presto il posto ad un caldo gioioso.
…
da troppo tempo tutto era privo di colori.
anche i fiori non crescevano più e quelle rare volte in cui riuscivano a sbocciare, mostravano un colore simile a quello delle ceneri di un fuoco di legna nera.
non c’era nome per quel colore.
era un colore che non esisteva prima che il re-negromante, in un impeto di rabbia, decise di lanciare un incantesimo su tutto il suo regno che privò ogni cosa del suo colore originale, sostituendolo con quello delle ceneri.
non si è mai saputo con assoluta certezza il motivo per cui il re-negromante volle colpire così duramente i suoi sudditi. qualcuno parlava di una pazzia improvvisa causata dalla morte di una persona cara, qualcuno diceva che era frutto di un tradimento che gli fece perdere la fiducia negli uomini che, quindi, avrebbero dovuto soffrire, qualchedun’altro, invece, ipotizzava che il re-negromante fosse impazzito perché aveva perso la forcina preferita che manteneva al suo posto il vistoso riportino che da tempo immemore era abitudine esibire.
il re-negromante, oltre a rendere tutto del colore delle ceneri, decise che nessuno poteva più sorridere, quindi, tantomeno ridere. e lui era il primo a rispettare questa regola: diceva che muovendo i muscoli facciali per sorridere, gli si muoveva il riportino e, se lui non poteva ridere, non lo avrebbe potuto fare nessun altro.
e così fu…per tempo immemore…per generazioni.
i bambini nascevano, diventavano adulti e morivano, senza mai sorridere.
ma qualcosa, dopo tanto tempo, improvvisamente mutò: il re-negromante, che per merito dei suoi poteri non invecchiava più, un giorno decise di mostrarsi in maniera diversa.
decise di cambiare profilo…
e in questa nuova forma, si mostrò al suo popolo per altro tempo immemore.
ma le montagne che isolavano il regno del re-negromante che, da un sacco di tempo immemore, impedivano a qualsiasi straniero di portare i suoi colori nel regno del colore delle ceneri, stavano per essere violate.
un principe di nobile stirpe, coraggioso, intelligente, bello e, francamente, dotato…
venne a conoscenza del regno del re-negromante da uno stormo di cormorani che, per errore, durante la loro migrazione, si imbatté nelle guglie del palazzo dal colore delle ceneri del re-negromante (dato il loro acume, in realtà i cormorani sbatterono contro le guglie, più che imbattersi e, solo dopo, capirono che avrebbero dovuto volare più in alto).
il principe di nobile stirpe, che conosceva il linguaggio dei cormorani…conosceva solo quello dei cormorani, infatti nessun’altro essere vivente, umano o animale, lo capiva…comunque, si diceva, il principe di nobile stirpe, una volta appreso dai cormorani la notizia, visto che era anche coraggioso, decise di porre fine a quell’indecenza e partì alla volta del regno del re-negromante con l’intenzione di riportare i colori tra quelle terre dal colore delle ceneri.
il viaggio fu breve.
il principe di nobile stirpe arrivò sotto al palazzo del re-negromante e decise di aspettarlo nascosto dietro ad un albero.
il piano era astuto, degno dell’intelligenza del principe di nobile stirpe: il principe di nobile stirpe, astutamente, avrebbe distratto il re-negromante e gli avrebbe mozzato il capo (in realtà sarebbe bastata una bastonata sotto la terza vertebra cervicale, ma era giusto esibirsi in un gesto più appariscente).
il re-negromante non aveva bisogno di alcuna scorta: il suo popolo era privo di qualsiasi idea, impulso o iniziativa, viveva giorno dopo giorno, senza mai sorridere, aspettando semplicemente la morte.
“ma la tua presunzione ti costerà molto cara, re-negromante! ti distrarrò con qualcosa che non ti aspetti…”, pensava in cormoranese il principe di nobile stirpe!
uscito dal suo palazzo dal colore delle ceneri, dopo pochi metri, il re-negromante vide qualcosa che la sua millenaria memoria aveva ormai cancellato: un fiore…
colori…
un fiore colorato.
senza muovere un singolo muscolo della sua maschera di cenere, il re-negromante si chinò e raccolse il piccolo fiore, poi si alzò e lo posò sul palmo della mano.
verde…
e rimase a guardarlo…
giallo…
ogni tanto sfiorava i petali leggermente, come per accarezzarli, senza però toccarli, per paura di rovinarli…di staccarli…di fargli del male…
viola…
uno dopo l’altro, nella mente del re-negromante, esplosero i colori che per troppo tempo aveva celato a lui e a tutto il suo popolo.
rossomarronearancionebluazzurroporporaamarantoverdegialloviolacianomagentarosaocraceleste…
la maschera cedette…
e il re-negromante sorrise.
dopo eoni…il re-negromante tornò a sorridere.
il re era il punto esatto in cui la pietra cade nell’acqua…cerchi concentrici, colmi di ogni colore, partirono dai suoi piedi e con la velocità di un braccio che si alza tutto il regno tra le montagne si coprì di milioni di colori.
e il re, rise…rise…rise così tanto da dimenticarsi di essere vecchio…
e disse ai suoi sudditi che, se volevano, potevano fare tutto quello che per troppo tempo si erano negati…
vivere e sorridere in una terra colorata.
e non ci fu più spazio per visi senza espressione, senza neanche un’emozione, senza neanche una passione…
e, visto che dovevano recuperare ere di tempo color cenere, il popolo delle montagne decise di chiamarsi “il popolo della terra dei sorrisi” e iniziò a fare festa…
una festa che non è ancora terminata.
…
ah…già. mi chiedete che fine abbia fatto il principe di nobile stirpe…
è ancora dietro all’albero da dove sarebbe dovuto sbucare all’improvviso e tagliare la testa al re.
era talmente concentrato sul suo piano e sulla sua enorme intelligenza, che si dimenticò di tutto quello che lo circondava e, dopo qualche giorno in quella posizione, si fossilizzò naturalmente.
ma il popolo delle montagne non si è dimenticato che è tornato a sorridere per merito suo…
per questo hanno inventato una festa anche in suo onore…
la festa dei cormorani.
Le 4 Nabucodonosor
La Bocciofila sociale di San Raffaele Castrozza non era mai stata così piena.
Durante i giorni normali, in pratica tutti i giorni dell’anno, il numero di frequentatori era sempre lo stesso: 27. Fino a novembre scorso era 28, ma Ettore, 93 anni, non era riuscito a superare l’inverno.
La mattina Nora apriva già alle 6 perché Mattia arrivava sempre alle 6:10 per fare colazione e aspettare i fratelli Ruffo e Michele, ore 7, con cui organizzava un torneo di Scala40 ogni giorno. Entro le 9:30 la bocciofila arrivava a contare 27 diverse tessere previdenziali.
Ogni giorno.
Non che a San Raffaele Castrozza non ci fossero altri posti dove divertirsi.
C’era il Bar della Posta, 13, il Bar del Sole, 15, e la trattoria La Vecchia Sciabola che, per qualche anno, ha orgogliosamente rivaleggiato con la Bocciofila: 25 dipendenti travestiti da clienti. L’agguanto al fuggitivo, però, non è mai riuscito per merito di Nora che un giorno sorprese tutti montando lo schermo piatto da 46 pollici. Lo montò un giorno, ma lo accese solo dopo 2 perché Mattia, che aveva appena finito di mangiare le famose bruschette burr’olio, appena fissata la TV al muro, volle controllare se i pollici erano veramente 46. Nora impiegò un giorno per togliere il grasso da tutto il monitor perchè Mattia diceva che i pollici erano da contare in larghezza, Ruffo S in altezza e Ruffo M in diagonale.
Quel giorno, però, era il millecinquecentenario della fondazione di San Raffaele Castrozza e il Sacro Quartino, la loggia formata da Nora, Vittorio (La Vecchia Sciabola), Giuseppe (Bar Sole) e Saturnio (Bar della Posta), aveva deciso di organizzare una grande festa alla Bocciofila dove c’era molto più spazio per le sedie e le bombole di ossigeno.
Oltre agli 80 seguaci comandati dal Sacro Quartino alla festa, battezzata San Raffaele Castrozza parti (fu Mattia a suggerirlo, perché si ricordava lo spot della Martini con Giorgio Clun,), c’erano tutti gli altri 97 abitanti: 14299 compleanni festeggiati e 3365 anni di pensioni percepite tra tutti i 177 presenti.
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“3365 anni di pensioni percepite?!? Solo in 177?!?”
Mentre il suo segretario gli riferiva la notizia, la vena della tempia sinistra del direttore generale dell’INPS era grande come un bigolo ben cotto.
“E godono tutti di buona salute. Non ottima, considerati gli acciacchi dovuti all’età, ma l’ultimo caso di infarto è di 14 anni fa mentre l’ultimo ictus fatale è di 9 anni fa. Tumori, solo alla prostata, e tutti diagnosticati in tempo dal medico del paese che è un andrologo, anzi, direi che è il padre dell’andrologia dell’Italia. E nessuno guida né auto né motorini, quindi il rischio di incidente è molto basso: l’ultimo abitante di San Raffaele Castrozza morto sulle strade è stato Ruffo Raffaele, nel 1983, schiacciato da uno schiacciasassi. Tra l’altro, non guidava neanche lui.”
La pedante precisione del segretario era da sempre motivo di irritazione per il direttore generale.
“E come avrebbe potuto guidare lui se è stato schiacciato?” i bigoli, adesso, erano da entrambe le parti.
“Beh, magari un suicidio…”
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A San Raffaele Castrozza la festa raggiunse il culmine quando i 4 del Sacro Quartino andarono tutti insieme dietro al bancone prefabbricato per stappare ognuno una Nabucodonosor di Teroldego che Saturnio conservava gelosamente da anni nella sua cantina.
E fu mentre stappavano le bottiglie che iniziarono i primi spari.
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Il direttore generale dell’INPS non sapeva più che pesci pigliare.
Purtroppo per lui San Raffaele Castrozza non era il solo caso in Italia: Pigna Superiore, Trinità Inferiore, Testiconelsacco, Brignafarinei erano altri paesi in cui il rapporto annuale versamenti/erogazioni si scriveva 0 sopra e diversi milioni sotto. Per la matematica faceva sempre 0, per lui milioni di ulcere. Paesi con migliaia di pensionati il cui ultimo versamento era stato registrato negli anni in cui Andreotti raccontava ancora che vivevamo nella terza potenza mondiale.
E non morivano. Sti bastardi non morivano. E in più doveva sopportare il suo segretario.
Per questo, ogni giorno, cercava un po’ di sollievo nei riti vudù.
Aveva scoperto il vudù durante un convegno sulla previdenza sociale europea tenutosi a Santo Domingo. Lui e tutti i suoi omologhi stranieri, al termine della frustrante programmazione diurna, si ritrovavano nel sotterraneo del resort a invocare Baron, il loa della morte, per supplicarlo di materializzarsi in Europa e iniziare a mietere teste vecchie senza sosta.
Ma è venuto fuori che Baron non aveva giurisdizione fuori dalla Repubblica Domenicana.
Il direttore generale dell’INPS, una volta tornato in Italia, non si era comunque perso d’animo e aveva iniziato a compiere riti regolari nel suo ufficio (ma solo dopo mezzanotte). In particolare, lo faceva stare bene il rito che aveva battezzato leo-rum, dalla contrazione dei nomi dell’ex presidente della Repubblica Leone e dell’ex presidente del consiglio Rumor: i principali responsabili della legge sulle pensioni-baby, quella che fino ai primi anni ’90 ha permesso ai dipendenti pubblici di andare in pensione anche solo con 14 anni di contributi.
Per il rito leo-rum, oltre alle foto dei due già morti politici, il direttore generale dell’INPS utilizzava:
- un’orata fresca di Giannino, il suo pescivendolo;
- una bottiglia di rum;
- alcuni peli di leone, fornitegli dal guardiano dei felini del parco-natura vicino a casa;
- un sacchetto di coriandoli;
- un macinacaffè;
- una musicassetta di Albano;
- la fotografia della romana Robustina Roccia che, a dispetto di un nome antiquato, aveva solo 53 anni, percepiva la pensione dal 1992 dopo solo 14 anni, sei mesi e un giorno di contributi e, solo il mese passato, dopo 10 giorni dal parto del suo quarto figlio, aveva terminato la maratona di Roma. Con un tempo sotto le 4 ore, tra l’altro.
Lui ci provava tutti i giorni, ma gli italiani vecchi non ne volevano sapere di morire.
Poi un giorno vide un documentario sulla guerra d’Algeria e gli squadroni della morte francesi.
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Il primo a cadere fu Saturnio: il proiettile perforò la sua Nabucodonosor e tutti i 15 litri di Teroldego si sparsero su di lui. Le sue ultime parole furono: “Sa di tappo”.
Ovviamente, all’inizio tutti pensarono che gli spari facessero parte dei festeggiamenti e, altrettanto ovviamente, visti i 14299 anni sulle gambe degli abitanti di San Raffaele Castrozza, in quell’inizio, 158 pensionati sforacchiati stramazzarono a terra morti. I fratelli Ruffo, che in quel momento erano nel bagno della Bocciofila a cambiare i rotoli asciugamani, corsero fuori gridando che per i fuochi d’artificio era ancora presto. Una bomba li prese in pieno, facendoli saltare con tutto il bagno e i 9 concittadini alle prese con la crema di asparagi di Giuseppe. Le cucine saltarono 4 secondi dopo, insieme a 10 paioli di polenta, 2 porchette, 8 fagiani, 15 casseruole di patate, 1 padellino con un uovo all’occhio di bue e 7 cuochi.
Dopo 47 secondi dal primo sparo, 176 sancastrozzesi non avrebbero più percepito la pensione. Sopravvisse solo Mattia perché, nel cercare di scoprire dove scomparivano sempre le bocce del campo 3, la mattina della festa sfondò la botola di un vecchio rifugio antiaereo, scivolando per 10 metri sottoterra.
Non si accorse di niente e venne recuperato 2 giorni dopo.
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“Le orate sono fritte. Tutte meno una.”
Il direttore generale dell’INPS ricevette il messaggio quando ormai era solo in tutto l’ufficio. Dopo averlo letto, si alzò, aprì il cassetto segreto dove teneva l’occorrente per i suoi riti vudù, prese la fotografia di Robustina Roccia e rimase a contemplarla per alcuni istanti. Poi la ripose, scartò la confezione di un nuovo cellulare usa e getta, lo accese e scrisse:
“Domani portate le orate a Trinità Inferiore”
La treccia
“vedete, siamo qui. non mi sono sbagliato, siamo proprio nel centro di rubyland, la vecchia venezia”
“oh, che bella, avevi ragione, caro, abbiamo fatto bene a venire qui, nella svizzera del sud. peccato ci siano ancora troppi italiani in giro”
“mamma, mamma! ti piace la mia treccia?”
“si fiocco di seta, mi piace la tua treccia”
il turismo statunitense è in costante incremento nella svizzera del sud.
da quando su tutti i ncw (notice cartel web, nda) degli stati uniti è comparsa la notizia che l’italia è stata inglobata nella svizzera, ormai più di 5 anni fa, è ritornata la voglia di esplorare quella terra che, un tempo, era di santi, poeti, navigatori e palazzinari.
“mamma, mamma! ti piace la mia treccia?”
“si fiocco di seta mi piace la tua treccia”
purtroppo, certe situazioni critiche non sono state ancora risolte. per esempio, non è stata ancora risolta la questione della parchizzazione o meno dell’ex italia del sud.
da 20 anni, l’isola denominata sicilia è stata parchizzata. una procedura brevettata in giappone nella metà degli anni 00, denominata “mifù’n’macel” che consiste nel programmare i batteri “tnt” affinchè spianino, in una data area, tutto quello che c’è di antropico, costruito dopo un certo periodo.
una gran parte di parlamentari europei, da anni, grida che la procedura deve essere utilizzata anche al di sotto di quella linea immaginaria che collega fiumicino, roma, l’aquila, topanera e pescara.
gli abitanti di mollalatopa, più a nord, ringraziano.
probabilmente, si riuscirà a raggiungere la soluzione entro la fine dell’anno, il 12 novembre, in occasione del 150esimo anniversario della libarazione dal peccato originale. la discriminante è se programmare i batteri tnt per manufatti prima o dopo l’anno 1920.
“mamma, mamma! ti piace la mia treccia?”
“si fiocco di seta, mi piace la tua treccia”
i turisti statunitensi sono sempre entusiasti della svizzera del sud e di rubyland.
dell’ex italia gli piacciono i monumenti, il clima e il cibo…
ma non gli italiani.
per questo, la cee ha da tempo trasferito gran parte degli italiani in marocco, il 34esimo paese membro, ”dove peraltro si trovano benissimo” (fonte times, nda).
qualcuno, però, è rimasto. soprattutto nella parte che era chiamata “padania”, nome coniato da un movimento politico nato alla fine del ‘900 e defunto dal momento in cui, dopo un embolo, ha smesso di avercelo duro.
questi italiani rimasti, tutti di origine napoletana, sono soprattutto tollerati per l’atmosfera che riescono a creare attorno ai monumenti e ai ristoranti.
“bona jurnata, signiuri”
“o guarda caro, un italiano! ma allora non sono tutti mostri come mi ha raccontato l’amica della sorella di mia mamma. sù caro, dagli una penna usb10, di quelle che abbiamo comprato in bangladesh”
“oh, buongiorno italiano, mi capisce se parlo? tieni una penna usb10”
“grazie signò. o’ tèrrò ncopp’o’ core. ma, dicite a me, avèt già vistò chesta bellà cìttà?”
“oh, senti caro, parla in un idioma antico”
“mi scusi italiano, ma non capiamo. riuscite ad esprimervi nella lingua madre?”
“ma certo! era solo per dare un po’ di colore!”
“oh, che bello caro. danno un po’ di colore!”
“mamma, mamma! ti piace la mia treccia?”
“si fiocco di seta, mi piace la tua treccia”
“allora signori. volete che vi faccia vedere un po’ di rubyland?”
“oh, grazie italiano. molto volentieri. e alla fine ti daremo anche una bella mancia!”
“sì, sì, la mancia, aropp’ vi facciò bberè,”
“scusi?”
“no, no, niente, stavo pensando tra me e me su quali bellezze farvi vedere per prima cosa”
“oh caro, senti come è gentile, e poi parla anche tra se e se. che bravo italiano!”
“vi porto subito in piazza san marco, a vedere la statua di ruby”
“oh, caro, ci porta a vedere la statua di ruby!”
“mamma, mamma! ti piace la mia treccia?”
“si fiocco di seta, mi piace la tua treccia”
la calle marzaria del previti, ex dell’orologio, è sempre stata una delle vie più utilizzate per raggiungere la piazza più famosa del mondo.
“vedete, signuri, quando l’italia è stata liberata, nel 2021, il 12 novembre, i politici di allora hanno fatto degli accordi. il peccato originale ha deciso che se ne sarebbe andato solo se gli avessero concesso alcune cose.”
“oh, e quali sono state le cose che gli hanno concesso?”
“beh, sostanzialmente ha detto che non avrebbe mai fatto la fine del cognato bettino e che si sarebbe tenuto le sue televisioni, sapete, quegli apparecchi che nell’antichità si usavano per trasmettere le immagini in movimento, la sua casa editrice, le sue ville, la sacra rota…e poi, ha messo una condizione imprescindibile, la cessione alla sua azienda della città di venezia”
“e i politici di allora hanno accettato?”
“beh, certo. ma non lo hanno detto subito ai propri elettori. gli italiani lo hanno capito quando, dopo 3 anni, hanno iniziato a cambiare i cartelli stradali. il peccato originale volle intitolare la sua nuova città ad una sua cara collaboratrice, che aveva salvato dalle mani di pericolosi criminali, in cambio di semplice calore umano. una storia molto triste…”
“oh, senti caro, come erano poetici gli italiani”
“poetic sta minchià…”
“come italiano?
“no, no, dicevo che c’era molta poesia una volta. dunque, dicevo. dopo il cambio del nome della città, il peccato originale decise di cambiare anche molti nomi di vie e piazze. lasciò invariato il nome di piazza san marco, vedete, siamo arrivati, lo lasciò invariato perchè ci furono molti veneziani (il nome degli abitanti di venezia, nda) che iniziarono a darsi fuoco in strada, come i bonzi tibetani”
“oh, hai sentito caro, si davano fuoco. ma che divertenti che erano gli italiani!”
“mamma,mamma! ti piace la mia treccia?”
“si fiocco di seta,mi piace la tua treccia”
“quindi si decise di lasciare il nome antico. però, il peccato originale, volle posizionare al centro della piazza una statua in onice nera della sua collaboratrice ed ex accompagnatrice, vedete, e lì”
[nel centro della piazza più famosa al mondo, da anni, si staglia, come una lepre delle nevi in una savana africana, la statua della famosa collaboratrice del peccato originale, nda]
“oh, che bella. quanta poesia, vedi caro. ma perchè ha parlato di ex accompagnatrice, caro italiano? e perchè lo scultore ha rappresentato la povera ruby a quattro zampe?”
“perchè o’ portàva dall”andrològ,”
“scusi?”
“chiedo venia. era un modo di dire, vuol dire che era una sua cara e disinteressata collaboratrice e che spesso si doveva mettere a carponi perchè aiutava il peccato originale a raggiungere gli scaffali più alti…”
“oh, che caro, che brava ragazza, hai sentito caro, che romantici questi vecchi italiani!”
“ma seguitemi, vi porto a vedere gli ex giardini reali, sono qui dietro. e se volete, potete anche comprare una fontana”
“oh, senti caro. possiamo comprare una fontana!”
“oh, possiamo comprare una fontana? sarebbe un bel regalo per nostra figlia!”
disse il turista, guardando affettuosamente la sua bella bambina…
“mamma,mamma! ti piace la mia treccia?”
“si fiocco di seta, mi piace la tua treccia”
“certo! tutte le fontane di venezia sono state messe in vendita. la maggior parte è stata comprata da turisti americani, proprio come voi!”
“oh, senti caro. la maggior parte delle fontane le hanno comprate turisti americani come noi!”
“oh, ma senti italiano, quanto costano queste fontane?”
“beh, di solito costano 10000€, ma questa, vista che è nel parco degli ex giardini reali, e pure davanti al mare, costa 20000€”
“oh, senti caro. costa solo 20000€, dai, dai, compriamola da questo bell’italiano!”
“beh, signora, non è così facile. bisogna mettersi in lista d’attesa…è una procedura lunga”
“oh, hai sentito caro? fai qualcosa, voglio la fontana per il nostro fiocco di seta!”
“suvvia italiano, non può fare qualcosa?”
“beh, si potrebbe offrire di più del valore di mercato, magari pagando immediatamente. il funzionario del comune sicuramente vi passerebbe davanti…”
“perfetto, caro italiano. ecco questo chip con 40000€ e tutti i miei dati. lo potete versare subito in qualsiasi slot bancario”
“ma non so…ci sarebbe un protocollo da rispettare…dovrei prima chiedere…”
“oh, senti caro? questo bravo italiano potrebbe subire dei rimproveri. bisogna sdebitarsi, su caro, consegnagli anche un altro chip per il disturbo”
“oh, hai ragione cara. tenga bravo italiano, oltre al chip per la fontana, anche un chip da 5000€ per lei!”
“beh…se insistete così tanto, li prendo!”
“oh, che bello caro! abbiamo una fontana di rubyland! sei contenta fiocco di seta?”
““oh, mamma, mamma! sì…ti piace la mia treccia?”
“si fiocco di seta, mi piace la tua treccia”
“sta minchià e’ treccia, bambìn minchiòn comm e’ genitòr”
“come, bravo italiano?”
“no, dicevo che avete una figlia bellissima e poi, mi devono scusare, ma devo andare a fare la mia ora di volontariato al pio ospedale per l’infanzia abbandonata e castigata. ma mentre vado, passerò in comune per bloccare la fontana”
“oh, che caro italiano, ma allora l’amica della sorella di mia mamma ha proprio sbagliato tutto, anche a dire che gli italiani sono tutti furfanti brutti e cattivi. vada, bravo italiano, vada, non faccia aspettare quei poveri bambini…”
“statte bbuono, nce vedimmo…”
“ma bravo italiano, prima di andare, ci dica come si chiama…”
“antonio de curtis…
ma gli amici mi chiamano Totò8…”
il duo
“cazzo fai! perchè cerchi di mettere quella vite del 6 in quel buco del 4?”
G doveva sempre essere enfatico ogni volta che non condivideva qualcosa. sempre.
“perchè non ho una vite del 4 e provo a vedere se riesco a riciclare questa vite del 6…!”.
e D doveva sempre spiegare a G ogni cosa facesse. sempre.
“ma non entra…e poi non vedi che è a testa quadra e ne serve una a testa tonda…”
“con tanta pazienza e tanta vaselina l’elefantino si fa la topolina…magari la testa quadra riesco a infilarla lo stesso…e lo spirito di adattamento dove lo metti?”
“te lo metto nell’uretra! il televisore è nuovo e vuoi già usare il coltellino svizzero e il nastro isolante per fare un cazzo di tacun?!?!”
“se sti cazzoni di coreani non sanno cosa sia lo standard europeo, che cazzo vuoi che faccia!?! provo a mettere un tacun…no?!?!
“col cazzo! deve essere tutto perfetto! bisogna trovare le viti giuste per attaccare sto cazzo di lcd al muro…e poi, sei sicuro che sta staffa vada bene?!? mi pare che i buchi siano più piccoli di quelli che ci sono sul televisore?”
“ma va! non vedi che c’è scritto che è una staffa universale…sempre a rompere gli zebedei…pignolo del cazzo! stai sereno…è tutto a posto…”
“a posto un paio di palle! non abbiamo le viti, dobbiamo andare a prenderle…e anche il cavo di alimentazione più lungo…manca sempre tutto…”
il disfattismo di G era sempre sproporzionato, qualsiasi cosa non girasse esattamente come voleva lui e D doveva sempre tranquillizzarlo, promettendo soluzioni semplici e immediate. anche quando, in realtà, erano effettivamente complicate.
in questo caso, però, la soluzione era estremamente semplice, ma si doveva andare alla ricerca della vite perduta.
prima tappa…la ferramenta vicina
“sì…le abbiamo…ma con la testa a bullone…non a vite”
“ah…non le avete a vite?”
“no. le abbiamo a bullone”
“quindi non ce le avete a vite? ma esistono a vite?”
“sì. ma non le abbiamo. le volete queste…a bullone?”
“no…le voglio a vite”, G chiuse senza possibilità di replica
seconda tappa…la ferramenta meno vicina
“sì…le abbiamo…ma con la testa a bullone….non a vite”
“ah…non le avete a vite? perchè non ce le avete a vite?”
“perchè sono più comode quelle con la testa a bullone…e poi ci piacciono di più quelle a bullone”
“quindi non ce le avete a vite?”
“no. ce le abbiamo a bullone. le vuole?”
“ma io le voglio a vite…va sempre tutto storto…va beh…prendiamole a bullone”
“ecco…bravo…prendiamole a bullone…”
“adesso però ci manca il cavo di alimentazione più lungo…”
terza tappa…il negozio di materiale elettrico più vicino
“no. non ce lo abbiamo. però potete usare questa prolunga…”
“no. voglio un cavo più lungo”
quarta tappa…il negozio di materiale elettrico più lontano
“no. non ce li abbiamo più lunghi. quella che avete è la versione standard…da un metro e mezzo…quella che usano tutti”
…
“possibile perdere tutta la mattinata per cercare delle cazzo di viti e un cazzo di cavo…con tutte le cose che ho da fare!”
“ma le viti le abbiamo trovare…che cazzo ti lamenti. e poi sono solo le 9:30…e poi potevo andare a cercare in giro da solo”
“no…voglio verificare…tutta la mattinata persa…”
quinta tappa…il negozio di materiale elettrico lontanissimo
“no. non ce l’abbiamo più lungo. abbiamo solo la misura standard. però potete usare una prolunga…”
sesta tappa…il negozio di televisori abbastanza vicino
“no. non li fanno più lunghi. si deve usare una prolunga”
settima tappa…il negozio di televisori dall’altra parte della città
“no. non esistono. il cavo standard è da 1 metro e mezzo. se vi serve più lungo dovete usare una prolunga o fare una giunta”
“un tacun?”
“sì…un tacun”
ottava tappa…casa
“tutta la mattina persa…”
“sono le 10:30…vediamo di montare la staffa. prendi i bulloni che avvitiamo la piastra di sostegno dietro al televisore…
grazie…
cazzo! vanno bene nel televisore, ma i buchi della piastra sono più piccoli. il bullone non passa”
“te l’avevo detto! te l’avevo detto che i buchi della staffa erano più piccoli! te l’avevo detto…”
“è colpa dei coreani…”
“coreani il cazzo, non vedi che il buco è più piccolo! come fai a mettere il bullone in quel buco più piccolo…il bullone è più grande e il buco è piccolo…come fai…tutta la mattina persa…”
“va beh…vai in ufficio. io esco a prendere una staffa diversa…e poi la monto”
“tutta la mattina persa…il buco è piccolo e il bullone grande…”
tutta la mattina persa, anche se sono solo le 10:45.
cavi standard, viti, bulloni e buchi piccoli…
però…
volete mettere?!?
il sognatore
[un pezzo un po’ intimista scritto qualche mese dopo il mio rientro dall’australia]
le prime volte non si dimenticano.
…non si dimenticano…
la prima volta in bicicletta senza rotelle, con papà che ti guida…
il primo giorno di scuola, con mamma che ti accompagna…
la prima volta che rubi una caramella, con nonna che fa finta di non vedere…
il primo morto steso nella bara, con la mano di qualcuno che ti tiene la spalla…
la prima volta che baci, con le labbra della più bellissima ragazza del mondo davanti alle tue…
il primo esame, con tutto il tuo corpo che ti vorrebbe trascinare in cina…
la prima volta che ti tuffi dall’alto, con gli occhi di tutti i ragazzi dell’universo che ti guardano…
il primo film al cinema, con il tuo braccio che vorrebbe…ma non sa…
la prima paghetta, con i pensieri che cavalcano tutti i tuoi desideri, per poi fermarsi di colpo, perchè capisci che non ti potrai comprare neanche una pizza…
il primo incidente in auto, con il cambio della tua dyane steso sul selciato…
la prima volta che hai detto “ti amo”, con gli occhi che saettano in quelli di lei per cercare di anticipare la risposta…
la prima volta, quella lì…già a pensare se sarà contenta…
quante sono le cose che non si dimenticano?
tutto non si dimentica…è solo nascosto, a volte bene, a volte soltanto dietro ad un semaforo.
nella mia testa, però, sembra che tutto voglia giocare a nascondino.
boh…
…e non ti dimentichi neanche la prima volta che ascolti il cantante che ti accompagnerà per la vita…
stai guidando e ascolti la radio…di un dj che rimesta in tutti i calderoni musicali del mondo…una radio che ha appena passato un pezzo che ti ha fatto ondeggiare insieme alla tua 2CV. un gruppo nuovo…arriva dalla città degli angeli…il nome non lo hai sentito…come quasi sempre…ma hai capito il titolo del pezzo e questa è ben più che una stranezza…è paradise city. la terza volta del ritornello…sei già lì che lo canti a squarciagola.
…ancora stai cantando “take me down to the paradise city where the grass is green and the girls are pretty”…
che il dj decide di fartelo conoscere.
ti dice che dopo tanta americanaggine ci vuole un po’ di sano rock italiano. dice che ha vinto un concorso per emergenti.
hai appena ascoltato un gruppo che segnerà la storia e te ne rendi conto, non serve essere talent scout di professione e pensi che non potrai mai sentire qualcosa di meglio…subito dopo.
e invece può succedere.
ed è successo.
non te ne accorgi subito. ma ti scopri ad alzare ancora di più il volume…sempre di più.
di più. fino a quando le tue casse da tuning iniziano a scuotere i finestrini.
e poi…quando lo senti cantare…
…“non avremo classe ma abbiamo gambe e fiato finché vuoi”…
lo capisci…
è la prima volta che ascolti la colonna sonora della tua vita.
e dopo…
tutto sarà a tempo di rock.
…
“ho provato a vivere pensando di costruire una parte del formicaio…fabbricando ogni giorno responsabilità solo perchè qualcuno me lo chiedeva”
ho risposto anche così ad un’amica che mi chiedeva qual’era il mio progetto per il futuro, che mi diceva che un po’ mi invidiava…ma che non si può vivere per molto rimanendo serafico, libero e privo di responsabilità…come sto facendo da qualche tempo.
…dovrei avere un conto con 4 zeri…e molti di più investiti in fondi tedeschi…una casa ancora da finire di pagare…una vacanza estiva programmata 5 mesi prima…una macchina semi-nuova, magari da cambiare il prossimo anno per scaricare un po’ di tasse…un lavoro che solo ogni tanto mi fa stare bene, anche alle 11:06 del mattino.
ho gli anni in cui dovrei avere e fare tutto ciò.
dovrei…
ma per chi?
chi mi dice che dovrei?
io no.
non me lo dico.
potevo continuare a fare molte delle cose che un tempo facevo.
sabato mattina, invece, mi è venuta voglia di ascoltare la colonna sonora della mia vita…un film che proietto spesso. un po’ di treno e sono atterrato al campovolo di reggio emilia. insieme ad altri 120.000.
ieri ero in una situazione per me normale e congeniale…rincoglionito. ma soddisfatto.
qualche settimana fa mi hanno chiesto se volevo lavorare in romania. ho risposto di sì ancora prima che mi dicessero che avrei anche mangiato delle magnifiche tette di panna (i papanachi, bomboloni con la panna che mi ricordano la quinta di carmer russo).
qualche mese fa…a melbourne…meditavo su come poter prendere il visto permanente australiano… senza impiegare troppi anni. “una vedova presbite non dovrebbe essere tanto difficile da trovare”…pensavo.
però avevo una scia di vaniglia da seguire…e non volevo perderla.
speravo di non perderla.
alla fine, però, l’ho persa.
qualche tempo dopo, per fortuna, ho trovato un rivo di miele che mi ha risollevato, facendomi ridere di nuovo.
forse sono pigro. forse sono un codardo. forse non so cosa voglio. forse sono fortunato.
forse ho solo un amico che non mi ha ancora mandato a cagare.
forse sono un sognatore…in un mondo di palazzinari.
forse sono solo alla ricerca di occhi che mi guardano innamorati.
però…ogni mattina…quando mi guardo allo specchio…e trovo una rughetta nuova…
penso alle milioni di cose che voglio ancora fare.
e allora mi dico che si può essere formica…
anche senza formicaio.
Jingo, lo spazzino-empatico
Il concerto era terminato da meno di un’ora e la distesa di rifiuti copriva come una coperta patchwork l’intera piazza.
“Wow! Ci hanno dato dentro!”
Jingo era uno dei 17 spazzini empatici del distretto metropolitano Mole3000 e adorava il suo lavoro. Era stato selezionato tra 200 candidati senzienti, tutti ugualmente in grado di carpire l’energia psichica da un oggetto, ma lui era stato il migliore a catalizzare l’energia all’interno delle UMA, le “Unità Mobili Accumulatrici”.
Quella notte erano stati chiamati a raccolta tutti e 17: i New Old Beatles erano il gruppo più famoso dell’intero distretto ed era certo che avrebbero riempito tutta la piazza. E così era successo, con gli spettatori che avevano seguito in maniera scrupolosa le raccomandazioni delle autorità: gettare quanti più oggetti possibili.
Ormai erano decenni che gli spazzini empatici venivano utilizzati per catalizzare l’energia psichica e chiunque andasse agli eventi marchiati senziente si preparava portando con se gli oggetti con cui voleva contribuire al fabbisogno energetico.
Il coordinatore aveva diviso la piazza in 17 settori e Jingo e i suoi colleghi, inseguiti come cagnolini dalle loro UMA, avevano iniziato l’opera di catalizzazione e pulizia alle 00:00 precise.
In fase di allenamento, Jingo amava trattenersi per molto tempo su ogni oggetto: una volta preso tra le mani poteva trattarlo in modalità catalizzante oppure in modalità analisi. Nel primo caso faceva solo da tramite all’energia che, in un baleno, lo attraversava passando dall’oggetto alla sua UMA; nel secondo caso, invece, riusciva a vivere le emozioni provate dai vecchi proprietari. Il processo era più lungo, ma l’energia estratta era più intensa. Ciò nonostante, durante il lavoro Jingo doveva attenersi soprattutto alla modalità catalizzante, più veloce e pratica.
Jingo si accorse subito che il suo settore era stato occupato da molte ragazze perché il numero degli animali di pezza era superiore alla media. Come al solito aveva iniziato proprio da orsacchiotti e peluche: erano zuppi di sicurezza e l’energia che ne fluiva era delicata e facile da trasferire. Terminati orsi e dinosauri, sempre in modalità catalizzante, Jingo era passato alla bigiotteria, ai libri, ai giochi e, infine, ai palloni.
Bubu8TO, la sua unità UMA, rimaneva sempre a un passo di distanza. Non doveva neanche toccarlo per trasferire l’energia, bastava che tendesse la mano verso di lui. Dopo di ché, Bubu8TO raccoglieva l’oggetto lasciato da Jingo e lo riponeva nel suo vano di compressione.
Dopo 2 ore, Jingo aveva terminato tutti gli oggetti standard e gli rimanevano soltanto quelli atipici. Come l’ultimo boccone che si lascia nel piatto, erano questi gli oggetti che amava lasciare alla fine, perché gli fornivano sempre sorprese inaspettate e li trattava sempre in modalità analisi.
Durante la modalità analisi gli spazzini empatici ripercorrevano la vita dell’oggetto visualizzando i proprietari come delle entità nebulose con una forma solo vagamente umana. L’unico dettaglio in più che riuscivano a percepire i più bravi senzienti era il sesso biologico. Le nuvole ex-proprietarie dell’oggetto diventavano, quindi, nere, bianche o grigie a seconda che si trattassero di maschi, femmine o intersex.
Ma il sesso biologico a Jingo non interessava. Lui amava percepire come l’oggetto aveva influenzato e condizionato la vita del proprietario.
Voleva sentire le emozioni intrappolate al suo interno.
Quando terminavano gli oggetti standard, Jingo estraeva dallo zaino il suo cuscino, si sedeva a gambe incrociate e aspettava che la sua UMA radunasse davanti a lui gli oggetti avanzati.
Quasi sempre gli capitavano cose mai analizzate prima.
“Macinacaffè di metà del XX secolo, martello da geologo della seconda metà del XX secolo, medaglia celebrativa del primo centenario dell’Arma dei Carabinieri del 1914, parte di albo a fumetti del 1987, collare per cane, tubo termoionico di radio di inizio XX secolo”
“Bubu8TO, te l’ho detto un sacco di volte! Quando arrivi all’ultimo oggetto dell’elenco devi usare la congiunzione “e”. Dovevi dire “e un tubo termoionico di radio di inizio XX secolo”. Non si capisce mai quando termini un discorso! Mi lasci sempre in attesa di qualcosa che non arriva mai.”
“Perfetto, Jingo. Lo inserisco nelle mie annotazioni.”
Che era quello che diceva sempre e Jingo era arrivato a pensare che si divertisse a farsi correggere. Singolare per un’A.I. di classe delta.
“Da cosa vuoi iniziare?”
In questa fase Jingo, seduto comodamente sul cuscino, amava farsi servire dalla sua UMA e si faceva passare gli ultimi oggetti direttamente in grembo.
Nuvola nera in posizione di lettura. Rilassamento, ammirazione, coinvolgimento ed empatia per la lettura. Lettura anomala, senza alcuna parola ma solo immagini. Rimbomba il nome del personaggio principale: Ken Parker. Cuccioli uccisi per nutrire altri cuccioli. Tristezza, frustrazione, rabbia, comprensione e ineluttabilità della vita. Rivissuta 1, 2, 3, 4 volte dalla stessa nuvola, poi…nuvola nera, bianca, bianca, nera, grigia. Tristezza, dolore, ammirazione, comprensione, forte comprensione della vita.
BANG! LAMPO!
Tutti i colleghi di Jingo, sparsi per l’enorme piazza, si voltarono verso il grande lampo di luce ed esultarono con un grande urlo: “GRANDE JINGO!”
A volte l’energia catalizzata verso le UMA era così intensa che si sprigionava come un lampo di luce dalle mani degli spazzini empatici.
“Wow, Bubu8TO! Questo fumetto ha fatto comprendere il senso della vita all’ultimo dei proprietari. Una cosa rarissima! Wow! Il prossimo Bubu8TO!”
Nuvola nera in posizione seduta. Poi altre in fase di montaggio. Potenza, fierezza, orgoglio. Un’enorme nave. Migliaia di nuvole. Altre nuvole nere in un piccolo spazio. Agitazione, paura, paura, terrore, frustrazione, panico. 3 battute brevi, 3 lunghe poi altre 3 brevi. Ripetute molte volte. Altre nuvole nere. Morte. Oblio, per quasi un secolo. Nuvola bianca. Ritrovamento. Emozione, eccitazione. Altre nuvole che puliscono l’oggetto. Delicatezza, attenzione. Tante nuvole in successione, piccole e grandi: è un museo. Terremoto. L’oggetto scompare ancora. Nuvola grigia. Ritrovamento. Abbandono all’evento senziente.
“Era una valvola di una radio per trasmissioni in codice morse. Una delle prime. Bubu8TO, sbaglio o uno dei più grandi naufragi dei primi anni del XX secolo è stato quello del Titanic?”
“Il RMS Titanic è stato un transatlantico britannico della classe Olympic, diventato famoso per la collisione con un iceberg nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912 e il conseguente drammatico naufragio avvenuto nelle prime ore del 15 aprile”
“Bubu8TO! Bastava un sì! Comunque questo tubo termoionico apparteneva alla radio del Titanic. Riponilo nello scomparto dei reperti museali. Serata grandiosa, questa!”
Nuvola bianca adulta, poi molte volte una piccola nuvola bianca. Allegria, fatica, fierezza, senso del dovere e partecipazione, amore. Oblio. Nuvola bianca. Riscoperta. Ricordi, memoria, tristezza, amore. Un’altra piccola nuvola bianca. Racconti, passaggio di esperienze, dolcezza, amore. Delicatezza. Oblio. Nuvola nera. Ritrovamento. Abbandono all’evento senziente.
“Pensa, Bubu8TO: questo oggetto veniva usato per ridurre in polvere i grani del caffè. Secoli fa si doveva faticare prima di poterselo godere! Il prossimo…”
Nuvola nera. Alta. Più alta di altre nuvole nere. Fierezza, orgoglio, senso di appartenenza. Lieve superbia. Senso del dovere. Abbandono. Nuvola nera. Riscoperta dopo anni. Sorpresa, ammirazione, orgoglio. Oblio. Nuvola nera. Ritrovamento. Venerazione. Trasferimento a nuvola nera piccola. Oblio. Nuvola bianca. Ritrovamento. Abbandono all’evento senziente.
“Era una medaglia conferita ad una persona alta, fiera e orgogliosa. Penso che potesse essere un carabiniere dell’ultimo re d’Italia. O del penultimo. Mi pare bella. Per il momento metti anche questa nello scomparto dei reperti museali. Ci penseranno in Centrale a valutarla.”
Nuvola bianca. Nuvola nera. Poi nuvola nera a 4 zampe. Un’altra nuvola bianca. Felicità. Dolcezza. Dispetto. Gioia. Gioia. Gioia. Gioia. Gioia. Gioia. Dolore. Preoccupazione. Dolore. Tristezza. Tristezza. Malinconia. Abbandono. Oblio. Nuvola nera. Ritrovamento. Abbandono all’evento senziente.
“Era un collare di un cane che è stato molto amato. E che ha amato tanto. Dai, Bubu8TO. Passami l’ultimo.”
Nuvola nera. Sorpresa. Piccola nuvola nera. Gioia, curiosità. Dolore fisico breve ma intenso. Breve collera. La nuvola nera cresce. Riscoperta. Riutilizzo. Ammirazione per l’oggetto. Malinconia. Abbandono. Oblio. Nuvola bianca. Ritrovamento. Orgoglio. Sorpresa. Riutilizzo. Abbandono. Oblio. Nuvola grigia. Ritrovamento. Abbandono all’evento senziente.
“Il bambino che ha ricevuto in dono il martello da geologo si è subito schiacciato un dito. Poi è cresciuto e lo ha utilizzato per lavoro. Un bell’esempio di oggetto condizionante: il bambino ha impostato la sua vita sulla base di questo martello. Che serata Bubu8TO!”
Jingo aveva terminato in un tempo standard e, alle 03:05 Bubu8TO si riassemblò nel suo modulo di trasferimento e ritornarono verso la Centrale.
Durante il viaggio di rientro Jingo e Bubu8TO incrociarono altre UMA impegnate nei loro giri di raccolta dei rifiuti domestici: silenziose ed efficienti, si inserivano negli slot di fianco ad ogni porta e scaricavano i rifiuti nei loro vani di compressione. A volte, qualche UMA si aggregava al loro modulo di trasferimento facendolo diventare una specie di treno.
Una volta raggiunta la Centrale, dopo aver trasferito l’energia psichica accumulata, Bubu8TO svuotò il suo vano di compressione nel separatore, dove i materiali di tutti gli oggetti venivano scissi nei componenti base che poi si aggregavano in cubi mono-materiale facilmente stoccabili e riutilizzabili.
“Una bella serata, Bubu8TO. Vado a riposarmi. Rielabora le annotazioni!”
Ma lo disse con poca convinzione, perchè sapeva che non lo avrebbe fatto.
Bubu8TO era una A.I. veramente singolare.